La mia OCC di Filippo Cantarini
Mi trovo ad affrontare l’ultima discesa della gara che porta diretta al traguardo. Sono più o meno al 50°km con 3400m di dislivello positivo fatti. Sono stremato, non riesco più a mangiare da 15km, bevo giusto qualche sorso di Coca-Cola. Se provo a correre mi viene da vomitare, la mia digestione si è bloccata qualche ora prima. Il mio livello di glucosio nel sangue penso sia ai minimi termini, proprio come il mio morale. Dentro di me mi ripeto la frase che penso tutti ci siamo posti nella nostra deprimente carriera da runner amatoriale: “Giuro che questa è l’ultima. Questo sport non fa per me!”
D’altronde sono anni che aspetto questa gara, per l’esattezza 4. Fa parte del circuito dell’UTMB, Ultra Trail del Monte Bianco. È l’essenza del trail, qui ogni anno si confrontano i più forti atleti del mondo su diverse distanze, 56km, 101km, 171km. Noi comuni mortali abbiamo l’opportunità di presentarci ai nastri di partenza insieme a loro. È come se la partitella di calcetto del venerdì sera venisse giocata con i campioni della serie A.
Parto con in testa la consapevolezza di dover gestire bene i primi chilometri, la prima parte di gara è molto veloce. I primi 16km li percorro in poco più di 2h, cerco di tenere la frequenza cardiaca bassa, è l’unico valore che controllo nell’orologio. Corricchio nei pezzi in piano, cammino in salita. A questo punto inizia la prima vera salita della gara, 5km con 600m di dislivello, la affronto con calma, mangio, bevo e cerco di stare tranquillo. In salita sto bene, recupero posizioni. Raggiungo la cima a La Gìete in serenità, me la sto godendo. Il problema è invece la discesa. Qui si vedono tutte le mie difficoltà tecniche. 5km di discesa con 600m D-, con il primo tratto molto sassoso e con radici, che mettono a dura prova caviglie e quadricipiti. Le nostre 5terre sono stupende, ma difficilmente riescono a replicare discese così lunghe e ripide. Imposto la velocità di crociera e scendo, perdendo le posizioni che avevo recuperato in salita. Finalmente si arriva a Trient, 26°km e 3h50′ di gara, dove il ristoro e soprattutto la presenza della mia fidanzata e dei miei amici mi tirano su il morale. Assistenza perfetta, ricarico borracce, gel e barrette e riparto. Sono carico, ora c’è una salita bella tosta, 5km e 700m D+. C’è veramente caldo, sudo da morire, mi metto al mio passo e cerco di salire costante, senza esagerare, ma a buon ritmo. I bastoni mi aiutano. Recupero un po’ di gente e questo mi da morale. Piano piano arrivo in cima, qui c’è un pezzo di saliscendi in mezzo ad un pascolo molto bello, l’aria è fresca e raffredda la mia maglia zuppa. Probabilmente questo mi sarà fatale. Cerco di correre e arrivare alla discesa il prima possibile. Finalmente arriva. Anche qui una discesa lunga, anche qui le mie gambe soffrono, e iniziano a chiedermi il perché le debba trattare così. Il problema però non sono le gambe, o almeno non del tutto. Il mio stomaco inizia a fare rumori strani, lo sento allagato, non ho belle sensazioni. Cerco di tenere duro. Arrivo a Vallorcine, 36°km e altro ristoro. Sono passate 5h45′. Invoco l’aiuto della mia assistenza, non sto bene. Non riesco a digerire quello che mangio. Ricarico le borracce e cerco di bere un po’ di coca cola, lei mi salva sempre. Riparto veloce, ora c’è una parte molto corribile e vorrei farla bene, qui si recupera tanto tempo. Davanti a me c’è un sentiero che scorre in piano, con dei lievi saliscendi, che mi sta sussurrando di correre. Ci provo, inizio goffamente a trotterellare, ma il mio stomaco sembra una piscina, mi viene su tutto. Da qui inizia il calvario. Cerco di bere, ma non riesco, non va giù niente. Si alternano momenti di forte dolore alla pancia a momenti in cui sto meglio, che cerco di sfruttare per correre un po’. Impiego molto più tempo di quanto avrei voluto per arrivare all’Argentiere, 44°km e penultimo ristoro. Per fortuna vedo la mia ragazza, sono venuti anche qui. Ho il morale a terra e ho bisogno di sostegno. Mi riempio una borraccia di coca cola, è l’unica cosa mi va giù. Mi faccio forza, ormai mancano 12km, non posso mollare. C’è l’ultimo scoglio da affrontare, una salita che da 1250m mi porta fino a 1900m. Qui il mio fisico sprofonda, la nausea aumenta e le mie gambe non vanno più, hanno finito la benzina, non riesco più a mangiare niente. Vado su pianissimo, ogni tanto mi devo fermare e perdo tantissime posizioni. Gli ultimi metri prima del ristoro de La Flégère sono mortali, passo il chip del controllo dopo 8h38′ di gara.
E qui ritorniamo all’inizio del mio racconto. Ultima discesa, tutta camminata, non ne ho veramente più. 7 lunghi chilometri verso Chamonix. Non conto più le posizioni perse, centinaia.
Però, appena esco dal sentiero e mi trovo dentro il centro sportivo di Chamonix, l’emozione inizia a salire. È il chilometro più bello della mia vita, con tutte le persone che ti incitano, che urlano il tuo nome. Torna anche qualche residuo di energia, devo correre per forza mi dico. Entrare nel centro del paese, nella zona transennata, con migliaia di persone è veramente da brividi. Vale ogni singolo allenamento, ogni sveglia all’alba, ogni crampo, ogni sacrificio. Capisci perché lo fai, perché ogni tanto vale anche la pena soffrire.
Vedo la mia ragazza, pronta come sempre a tendermi la mano, l’emozione è ancora più grande. Finalmente posso tagliare il traguardo che ho sempre sognato, un arco immenso mi attende. 9h52′ il mio crono.
Non me lo sono goduto come avrei voluto, il rammarico era molto alto.
Le aspettative e il carico emotivo che questa gara suscitavano in me, erano molto alte e credo che questo sia un aspetto che debba migliorare per riuscire a gestire bene gare così lunghe e soprattutto per godermele di più.
Devo tornare a Chamonix, devo tagliare quel traguardo con più sorriso di quanto sia riuscito a fare questa volta.
Ed ora, si pensa alla prossima…
Forza Orange
Filippo Cantarini